Non credo che il Carnevale sia più sentito come una volta: l’abbondanza in cui viviamo e una cultura meno “dura” con noi stessi ci ha abituati a colpi di testa e coccole dolci in ogni periodo dell’anno. Però sicuramente è una festa che piace ancora soprattutto ai più piccoli.
Anche riguardo al travestirsi, come in tantissimi altri aspetti, i miei figli hanno un atteggiamento diversissimo: Michele non ha mai amato le maschere, le ha sempre evitate, eccetto l’anno scorso quando, sull'onda dell’entusiasmo del fratello, si è travestito da ninja. Paolo invece è sempre stato un istrione e da sempre chiede supporti “teatrali” per entrare meglio nella parte.
Tendenzialmente cerco di riciclare materiali e vestiti che abbiamo già: trovo che sia un ottimo esercizio di pensiero laterale e di fantasia. Altre volte bisogna proprio realizzare qualcosa ad hoc, e allora lì si aguzza l’ingegno e si cercano ispirazioni online. Per quanto mi è possibile, evito di comprare costumi già fatti, spesso costosi e fatti in modo pessimo, per non parlare dei tessuti di qualità becera.
Condivido qui qualche consiglio su come pensare ai costumi di Carnevale in modo creativo ed economico.
- Prima di tutto cerca di semplificare al massimo il concetto del personaggio che il bimbo vuole interpretare: i colori principali, le caratteristiche salienti, l’elemento inconfondibile. (es. Superman è azzurro e rosso, ha la “S” sul petto e soprattutto il mantello)
- Una volta identificati i colori cerca che cosa hai già a casa e che potrebbe andare già bene; cerca anche nel tuo armadio, non solo in quello del bimbo. Un travestimento spesso è qualcosa di aggiunto ad una base che non è particolarmente caratterizzata: quindi spesso come base bastano una tuta, o dei jeans, una maglietta basic o i pantaloni del pigiama. Troverai poi accessori che potranno diventare dettagli del travestimento senza spendere una lira.
Ad esempio per il costume da ninja di Michele abbiamo usato i suoi pantaloni della tuta e il suo pile nero, a cui ho cucito sommariamente un nastro bordeaux per fare una finta scollatura giapponese. Per i calzari ho trovato un mio vecchio paio di calzettoni neri a rombi rossi (tralasciamo il fatto che io abbia comprato dei calzettoni così brutti) e per coprire il viso abbiamo comprato un passamontagna economico da Decathlon. Anche la sciabola l’abbiamo comprata, e ho usato un foulard nero per fare la cintura.
Paolo qui si è vestito da Minion con una maglietta gialla e una salopette di jeans un po’ grande, occhiali finti da 3 euro e il caschetto che usa quando gioca con il suo banchetto da lavoro.
Non dimenticare di pensare agli oggetti di uso comune reinterpretati: quando Paolo si è vestito da spazzacamino, la sua spazzola era lo scopettino per lavare le bottiglie.
- Quando proprio non si può fare a meno di realizzare qualcosa ad hoc di solito aggiungo pezzi a un capo base e poco costoso, come in questo costume da albero di Michele: maglietta bianca H&M, pantaloni del cuginetto, foglie di pannolenci incollate.
- Proprio il pannolenci è il materiale ideale per realizzare i travestimenti che vanno cuciti ad hoc: non ha bisogno di orlo, è relativamente economico e disponibile in tantissimi colori, ed è anche abbastanza sostenuto per mantenere la forma. L’anno scorso all'asilo dovevano vestirsi da animali, e Paolo ha scelto il castoro. Dato che come tratti identificativi ho pensato al marrone e alla coda, ho realizzato con due cuciture di numero un gilet, prendendo come modello una sua felpa, e poi l’ho arricchito con la macchia sul pancino e attaccando sul retro una coda decorata con strisce incrociate. Avevo poi un berretto beige, che avevo tenuto proprio per evenienze come questa, a cui ho cucito due orecchiette e realizzato una maschera con colla e pannolenci ispirandomi a castori-fumetto trovati con una ricerca per immagini online.
Quest’anno ancora vogliono Zorro e ninja, quindi me la cavo con poco. Però il tema della festa all’asilo di Paolo sarà il mondo dell’arte, e lui vuole vestirsi da Magritte… credo mi divertirò tantissimo!
E tu, ami travestirti a Carnevale? E i tuoi bambini?
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Pagine
mercoledì 27 febbraio 2019
mercoledì 20 febbraio 2019
Cambiare Sguardo: Zoottica
Credo che un libro più in sintonia con il titolo di questa rubrica non potrei presentartelo: si chiama Zoottica e ti mostra come vedono gli animali.
Da piccola avevo letto da qualche parte che i cani vedono in bianco e nero, e mi sono sempre chiesta come i gatti vedessero al buio, se distinguessero i colori oppure no.
Ma questo libro va ben oltre queste semplici curiosità sugli animali domestici, mostrando perfino come ci si sente ad essere un serpente, una povera lumaca, un piccione, una mucca, e chi più ne ha più ne metta.
Per ogni animale viene rappresentata la stessa scena così come la vede lui, in ampiezza e colori.
Le illustrazioni sono tutte a pastello, molto accurate; ogni animale ha una finestrella sugli occhi, e aprendola si capisce che cosa e come vede.
Così si può capire perchè si dice “occhio di falco” o “cieco come una talpa”…
Da piccola avevo letto da qualche parte che i cani vedono in bianco e nero, e mi sono sempre chiesta come i gatti vedessero al buio, se distinguessero i colori oppure no.
Ma questo libro va ben oltre queste semplici curiosità sugli animali domestici, mostrando perfino come ci si sente ad essere un serpente, una povera lumaca, un piccione, una mucca, e chi più ne ha più ne metta.
Per ogni animale viene rappresentata la stessa scena così come la vede lui, in ampiezza e colori.
Le illustrazioni sono tutte a pastello, molto accurate; ogni animale ha una finestrella sugli occhi, e aprendola si capisce che cosa e come vede.
Così si può capire perchè si dice “occhio di falco” o “cieco come una talpa”…
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Cambiare Sguardo-Libri per Bambini
mercoledì 13 febbraio 2019
I’m a Material Girl
Una delle mie massime fonti di ispirazioni sono i materiali.
Spesso l’idea per un nuovo prodotto viene proprio dalle proprietà di un materiale, come per i sottopentola, o dalla sua resa estetica.
In qualche modo anche questo legame con i materiali rientra nel mio concetto di essenzialità: perchè spesso il giusto materiale, da solo, risolve la metà del problema. E un materiale applicato alla giusta progettazione è la risposta perfetta per molte delle nostre esigenze “tecniche”.
Faccio un esempio che forse mi renderà ridicola, ma sicuramente rende l’idea.
Io, fino allo scorso inverno, ho sempre odiato la neve.
Non per il traffico, i casini a scuola o al lavoro. Semplicemente, perchè è fredda e bagnata.
Fin da piccola non sono mai stata attrezzata per affrontare i pomeriggi di gioco nella neve: calzamaglia di lana sotto i jeans, scarponcini recuperati da qualche parente, spesso di cuoio e del numero sbagliato, la solita giacca a vento che mettevo ogni giorno, ma talvolta anche il cappotto di panno, e berretto e guanti in pura lana vergine lavorata dalla nonna. Risultato: nel giro di mezz’ora avevo la neve fin nelle mutande, jeans congelati addosso con conseguenti gambe di legno, stalattiti sul berretto e geloni alle mani irritate dalla lana.
Poi l’anno scorso è scattato qualcosa: volevamo portare i bambini sulla neve, ma assolutamente che ci stessero bene. E volevo stare bene anch'io, non con la neve nelle mutande. Quindi mi sono comprata la giusta attrezzatura: niente di super costoso, diciamo il minimo indispensabile: pantaloni imbottiti, maglietta intima termica, guanti impermeabili. Ed è stata una svolta: zero freddo, zero acqua, 100% divertimento.
I materiali giusti, utilizzati in prodotti correttamente progettati, contano eccome!
La stessa cosa mi è accaduta per il K-way: fino a qualche anno fa usavo quello di mio padre (che pesa circa 100kg, io direi la metà) perchè così “ci sta sotto anche un maglione grosso se fa freddo”. Poi per ben 19 euro me ne sono comprata uno della mia taglia, che non fa passare l’aria da sotto e non svolazza schizzandomi la faccia e le gambe.
Adesso quando lo indosso mi sento invincibile: nessun acquazzone improvviso può rovinarmi una pedalata, e in campeggio è bellissimo andare a lavare i piatti da sola, in silenzio sotto la pioggia, con il mio scudo impermeabile a proteggere il mio corpo e i miei pensieri.
Quando penso ad un prodotto, quando sono alla ricerca di tessuti, mi lascio sempre guidare, oltre che dal colore, dalla sensazione e dalla funzionalità del materiale; perchè l’armonia tra estetica e funzionalità è essenziale per un buon prodotto, e io voglio che i miei, di prodotti, siano tali.
Spesso l’idea per un nuovo prodotto viene proprio dalle proprietà di un materiale, come per i sottopentola, o dalla sua resa estetica.
In qualche modo anche questo legame con i materiali rientra nel mio concetto di essenzialità: perchè spesso il giusto materiale, da solo, risolve la metà del problema. E un materiale applicato alla giusta progettazione è la risposta perfetta per molte delle nostre esigenze “tecniche”.
Faccio un esempio che forse mi renderà ridicola, ma sicuramente rende l’idea.
Io, fino allo scorso inverno, ho sempre odiato la neve.
Non per il traffico, i casini a scuola o al lavoro. Semplicemente, perchè è fredda e bagnata.
Fin da piccola non sono mai stata attrezzata per affrontare i pomeriggi di gioco nella neve: calzamaglia di lana sotto i jeans, scarponcini recuperati da qualche parente, spesso di cuoio e del numero sbagliato, la solita giacca a vento che mettevo ogni giorno, ma talvolta anche il cappotto di panno, e berretto e guanti in pura lana vergine lavorata dalla nonna. Risultato: nel giro di mezz’ora avevo la neve fin nelle mutande, jeans congelati addosso con conseguenti gambe di legno, stalattiti sul berretto e geloni alle mani irritate dalla lana.
Poi l’anno scorso è scattato qualcosa: volevamo portare i bambini sulla neve, ma assolutamente che ci stessero bene. E volevo stare bene anch'io, non con la neve nelle mutande. Quindi mi sono comprata la giusta attrezzatura: niente di super costoso, diciamo il minimo indispensabile: pantaloni imbottiti, maglietta intima termica, guanti impermeabili. Ed è stata una svolta: zero freddo, zero acqua, 100% divertimento.
I materiali giusti, utilizzati in prodotti correttamente progettati, contano eccome!
La stessa cosa mi è accaduta per il K-way: fino a qualche anno fa usavo quello di mio padre (che pesa circa 100kg, io direi la metà) perchè così “ci sta sotto anche un maglione grosso se fa freddo”. Poi per ben 19 euro me ne sono comprata uno della mia taglia, che non fa passare l’aria da sotto e non svolazza schizzandomi la faccia e le gambe.
Adesso quando lo indosso mi sento invincibile: nessun acquazzone improvviso può rovinarmi una pedalata, e in campeggio è bellissimo andare a lavare i piatti da sola, in silenzio sotto la pioggia, con il mio scudo impermeabile a proteggere il mio corpo e i miei pensieri.
Quando penso ad un prodotto, quando sono alla ricerca di tessuti, mi lascio sempre guidare, oltre che dal colore, dalla sensazione e dalla funzionalità del materiale; perchè l’armonia tra estetica e funzionalità è essenziale per un buon prodotto, e io voglio che i miei, di prodotti, siano tali.
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piccola scuola di design
martedì 5 febbraio 2019
Genesi lab
In questo post vorrei raccontare come è nato il DariLab, cioè il laboratorio dove ogni giorno lavoro e dove mi torna il buonumore ogni volta che mi sento giù.
Innanzitutto, va detto, il DariLab esiste grazie a mio marito Giorgio, che estenuato dal disordine e dai mucchi di stoffe che usurpavano lo studio di casa ha deciso di creare una parete divisoria nel garage di casa.
Per regalarmi questo spazio (e per recuperare un po’ di respiro in casa) ha imparato a montare pareti in cartongesso, ha recuperato le sue conoscenze di elettricista e ha fatto pure l’imbianchino.
Ma, con tutti i difetti che la nostra enorme casa di famiglia può avere (leggi: spese di manutenzione stellari, tasse ingentissime, impossibilità di fare qualsivoglia modifica senza passare al vaglio di padri e sorelle) lo spazio di certo non manca, e lo si può utilizzare al meglio se si hanno le idee chiare. Il nostro garage, infatti, non è un seminterrato buio, ma è stato ricavato nella zona al piano terra dell’abitazione, dove una volta c’era la carrozzeria di mio suocero e un laboratorio di maglieria. Quindi un pavimento in klinker un po’ rovinato, ma altezza soffitto a 4 metri e vetrate a non finire dal metro e 30 in su; per di più con esposizione a sud. Insomma, secondo me è la zona più bella della casa.
Ogni volta che entro la luce e i colori mi investono e mi predispongono a lavorare con gioia. Non importa se ancora non c’è il riscaldamento e d’inverno sembro uno yeti, mentre d’estate fa caldissimo e i bimbi mi fanno compagnia a torso nudo: lì dentro sto davvero bene.
Per ora ci sono
- un grande armadio dove ho sistemato i tessuti, anche se ne mancano ancora alcuni che sono rimasti nello studio di casa
- due tavoli, uno per la macchina da cucire e la tagliacuci, l’altro per il taglio dei tessuti e la pittura delle stoffe.
- alcuni mobiletti bassi, per i vari materiali come colori per tessuto, cerniere, scatole e packaging, e sui quali vorrei appoggiare i miei libri craft.
Le cose che invece vorrei implementare e sistemare sono:
- L’angolo cucina: ho a disposizione un piccolo lavello e una piastra: come mi piacerebbe poter offrire il tè o il caffè alle clienti che vengono a trovarmi! Sarà necessario anche mettere un piccolo tavolino con un paio di sedie per sorseggiare insieme mentre discutiamo del prodotto di cui hanno bisogno o semplicemente scambiamo quattro chiacchiere.
- Il bagno: utilissimo per le emergenze e per il lavandino dove lavo pennelli e telai da serigrafia, purtroppo è anche il posto dove stivo il materiale per i market: gazebo, imbottiture, tavolo pieghevole. Impresentabile davvero.
- Vorrei sostituire il tavolo da taglio con un grande bancone che abbia al di sotto dei ripiani per stivare rotoli di tessuti e altro materiale.
- Vorrei realizzare un angolo scrivania dove mettere il pc, perchè attualmente tutto il lavoro del blog e del ritocco foto lo faccio in casa. Ma vorrei poter gestire la cosa dal laboratorio, soprattutto se dovessero aumentare le spedizioni, se dovessi preparare le fatture ecc.
- Vorrei trovare il posto per una bella e grande moodboard dove raccogliere le ispirazioni in modo visivo e tattile.
Il DariLab è un posto ancora in divenire, non ha ancora una disposizione definitiva, e credo che questo sia un gran bene, perchè mi permette di adattarlo e mi lascia lo spazio per immaginare come far evolvere e crescere il mio lavoro. Nella sua evoluzione, te lo racconterò su queste pagine. E se vuoi vederlo anche adesso nella sua perfetta imperfezione, possiamo sentirci e fissare un incontro… il tè lo preparerò in casa, ma in qualche modo ce lo berremo nel DariLab!
Innanzitutto, va detto, il DariLab esiste grazie a mio marito Giorgio, che estenuato dal disordine e dai mucchi di stoffe che usurpavano lo studio di casa ha deciso di creare una parete divisoria nel garage di casa.
Per regalarmi questo spazio (e per recuperare un po’ di respiro in casa) ha imparato a montare pareti in cartongesso, ha recuperato le sue conoscenze di elettricista e ha fatto pure l’imbianchino.
Ma, con tutti i difetti che la nostra enorme casa di famiglia può avere (leggi: spese di manutenzione stellari, tasse ingentissime, impossibilità di fare qualsivoglia modifica senza passare al vaglio di padri e sorelle) lo spazio di certo non manca, e lo si può utilizzare al meglio se si hanno le idee chiare. Il nostro garage, infatti, non è un seminterrato buio, ma è stato ricavato nella zona al piano terra dell’abitazione, dove una volta c’era la carrozzeria di mio suocero e un laboratorio di maglieria. Quindi un pavimento in klinker un po’ rovinato, ma altezza soffitto a 4 metri e vetrate a non finire dal metro e 30 in su; per di più con esposizione a sud. Insomma, secondo me è la zona più bella della casa.
Ogni volta che entro la luce e i colori mi investono e mi predispongono a lavorare con gioia. Non importa se ancora non c’è il riscaldamento e d’inverno sembro uno yeti, mentre d’estate fa caldissimo e i bimbi mi fanno compagnia a torso nudo: lì dentro sto davvero bene.
Per ora ci sono
- un grande armadio dove ho sistemato i tessuti, anche se ne mancano ancora alcuni che sono rimasti nello studio di casa
- due tavoli, uno per la macchina da cucire e la tagliacuci, l’altro per il taglio dei tessuti e la pittura delle stoffe.
- alcuni mobiletti bassi, per i vari materiali come colori per tessuto, cerniere, scatole e packaging, e sui quali vorrei appoggiare i miei libri craft.
Le cose che invece vorrei implementare e sistemare sono:
- L’angolo cucina: ho a disposizione un piccolo lavello e una piastra: come mi piacerebbe poter offrire il tè o il caffè alle clienti che vengono a trovarmi! Sarà necessario anche mettere un piccolo tavolino con un paio di sedie per sorseggiare insieme mentre discutiamo del prodotto di cui hanno bisogno o semplicemente scambiamo quattro chiacchiere.
- Il bagno: utilissimo per le emergenze e per il lavandino dove lavo pennelli e telai da serigrafia, purtroppo è anche il posto dove stivo il materiale per i market: gazebo, imbottiture, tavolo pieghevole. Impresentabile davvero.
- Vorrei sostituire il tavolo da taglio con un grande bancone che abbia al di sotto dei ripiani per stivare rotoli di tessuti e altro materiale.
- Vorrei realizzare un angolo scrivania dove mettere il pc, perchè attualmente tutto il lavoro del blog e del ritocco foto lo faccio in casa. Ma vorrei poter gestire la cosa dal laboratorio, soprattutto se dovessero aumentare le spedizioni, se dovessi preparare le fatture ecc.
- Vorrei trovare il posto per una bella e grande moodboard dove raccogliere le ispirazioni in modo visivo e tattile.
Il DariLab è un posto ancora in divenire, non ha ancora una disposizione definitiva, e credo che questo sia un gran bene, perchè mi permette di adattarlo e mi lascia lo spazio per immaginare come far evolvere e crescere il mio lavoro. Nella sua evoluzione, te lo racconterò su queste pagine. E se vuoi vederlo anche adesso nella sua perfetta imperfezione, possiamo sentirci e fissare un incontro… il tè lo preparerò in casa, ma in qualche modo ce lo berremo nel DariLab!
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